
“La casa era semplice, ma comoda […]. E la cucina era, come in tutte le case ancora patriarcali, l’ambiente più abitato, più tiepido di vita e d’intimità.” (Cosima, 1937)
Grazia Deledda è stata dipinta da una certa iconografia ufficiale come una signora sarda e severa, lo sguardo intenso, i capelli stretti in una crocchia rigorosa: quasi lo specchio della sua scrittura precisa, misurata e verista. Una scrittrice impegnata, tra le prime donne a ricevere il Premio Nobel (e nell’Italia del 1926 non doveva essere un’impresa tanto scontata); l’unica italiana, fin ora, ad aver raggiunto questo riconoscimento in campo letterario.
In pochissimi ci hanno raccontato che Grazietta – come la chiamavano in famiglia – era in realtà anche un’abilissima cuoca, e una grande appassionata di cibo e cucina (una delle poche fonti è Neria De Giovanni, con il libro A tavola con Grazia. Cibo e cucina nell’opera di Grazia Deledda).
Nella casa paterna, dove si era dedicata con costanza agli studi, prima con un tutore e poi da autodidatta, aveva ricevuto come tutte le fanciulle della sua epoca un’educazione “domestica” che metteva la cucina al centro delle attività femminili.
Curiosa e attenta, amava preparare pranzi e cene da offrire ai suoi ospiti, come vuole la genuina ospitalità sarda, ma adorava anche mangiare e sperimentare piatti per lei insoliti. Chi direbbe che proprio lei, con il cuore sempre rivolto all’Isola – tanto da chiamare uno dei suoi figli Sardus – fosse un’estimatrice della polenta? Se ne appassionò così tanto durante le sue villeggiature autunnali nella Bassa Padana, dove il marito possedeva una cascina, da raccontarne la preparazione in maniera dettagliata in uno dei suoi romanzi, Annalena Bilsini. Ma non c’è dubbio che anche le vacanze estive nell’amata Cervia, terra di azdore, abbiano stuzzicato l’appetito e la curiosità della scrittrice.
Come si può immaginare, è soprattutto la cucina sarda ad essere protagonista delle scene di cucina così frequenti nella vasta produzione letteraria della Deledda: quella tradizionale della Barbagia, di tradizione contadina, povera ma robusta, che utilizza i prodotti dell’economia agro-pastorale.
Ci racconta Neria De Giovanni che “nessuna scena in cui la Deledda descrive una ricetta culinaria, un mangiare tipico, è semplicemente adornativa. […] Nella sua narrativa la casa e in particolare la cucina è il luogo dove si scatenano le tempeste dei sentimenti, si coltivano rancori e odi, si arriva al pentimento e alla espiazione. La cucina inoltre è l’unica stanza in cui le rigide divisioni tra i ceti sociali e i sessi, padroni e servi, maschi e femmine, possono magicamente essere abbattute”.

In particolare è il mondo femminile, fatto di confidenze e condivisione, ad emergere dal racconto di queste cucine. Chiacchiere tra donne, che se fossero ambientate ai giorni nostri, ossessionati con la magrezza, forse racconterebbero dell’ultima mania in fatto di dieta o di qualche miracoloso rimedio per la cellulite. Ma all’epoca di Grazia il vero cruccio delle donne era di mostrarsi in forma (e in forme!), secondo canoni di bellezza completamente opposti ai nostri:
“Procura d’ingrassare, che tuo marito ti vorrà più bene. Non hai uova da farti la frollata? – Madalena aveva le provviste, ma non aveva denari da sprecare in leccornie. Un giorno la matrigna osservò che la cassa del frumento era bucata e che il grano ne veniva fuori. – Fai una cosa, figlia mia d’argento: vendi il grano e compra le uova e lo zucchero. A Mauru dirai che poco per volta le formiche hanno rubato il grano dalla cassa. Egli è semplice e ti crederà. – E così fecero e comprarono le uova, lo zucchero, la cioccolata e fecero i biscotti, il pane d’isola, i dolci d’uva passa e di sapa. Dopo il frumento fu la volta dell’orzo. – Dirai a tuo marito che son passati i frati questuanti e i priori di San Francesco e quelli di San Cosimo e che tu hai dato loro l’orzo per l’elemosina. – Poi decimarono anche l’olio e al vino mescolarono l’acqua, e i topi rosicchiarono il formaggio… Ma un giorno Madalena disse: – Adesso basta: son grassa abbastanza. – Infatti sembrava un’altra; il suo viso aveva preso una tinta scura e calda ed i suoi occhi splendevano appunto come due stelle sul cielo bruno della sera.”
(dalla novella Le tredici uova, 1912)
I biscotti di Grazia Deledda
Le ricette di bellezza (e salute) di queste donne sono a base di dolci fatti in casa con ingredienti genuini: uova, zucchero, cioccolato, dolci d’uva passa e la sapa, sorta di marmellata fatta con quello che resta dopo la spremitura dell’uva. E poi biscotti, come questi sardi che vi consigliamo non per “farvi volere più bene”, ma per volervi più bene!

Ingredienti
150 g zucchero
1 uovo
1/2 bustina di lievito
8 g ammoniaca per dolci
zest 1 limone
Procedimento
Scaldate leggermente il latte e aggiungetevi ammoniaca e lievito: versate nell’impasto e continuate a lavorare.
Otterrete un impasto morbido e molto elastico, che non necessita di riposo.
Infarinate il piano di lavoro e, servendovi di un mattarello, tirate la pasta dello spessore di 0,5 cm (devono avere una bella consistenza).
Scegliete la forma di biscotto che preferite o tagliateli a mano a losanghe, come da tradizione.